Appennino Parco d’Europa compie 25 anni – La Nuova Ecologia

Il progetto lanciato a L’Aquila nel 1995, l’anno in cui diventavano realtà i Parchi nazionali del Cilento, Majella, Gran Sasso e Vesuvio, è una lunga visione ancora attuale per il futuro sostenibile della dorsale appenninica

Sabato 5 dicembre con un evento on-line dalle 10 alle 13, Legambiente in collaborazione con Federparchi, la Fondazione Symbola e Uncem, organizza un appuntamento del Forum degli Appennini per ricordare le tappe e gli obiettivi del progetto APE- Appennino Parco d’Europa a 25 anni dalla sua elaborazione (L’Aquila 1-2 dicembre 1995). Un progetto che, a detta di molti, rimane un esempio pionieristico di una visione integrata tra parchi e territorio, e per l’intera dorsale appenninica considerata come un sistema ambientale e unitario in cui le aree protette potevano fornire i loro benefici oltre i loro confini. Un modello che ha permesso, ad esempio, di attuare strategie di tutela a scala vasta per integrare le politiche di conservazione della natura con le altre politiche (agricole, infrastrutturali…) e favorire iniziative sostenibili di sviluppo locale. Il progetto APE è una grande suggestione e una visione di futuro che ha anticipato, a livello Europeo, le politiche per i grandi sistemi ambientali e le reti ecologiche, che si sarebbero poi sviluppate negli anni successivi, ed ha posto al centro della sua strategia le aree naturali protette e lo sviluppo sostenibile degli ambienti montani.

Nel 1995, anno in cui diventano realtà i Parchi nazionali previsti dalla legge 394/91 (Cilento, Majella, Gran Sasso, Gargano e Vesuvio) e viene promosso il progetto, è bastato guardare come si stava trasformando la cartina geografica d’Italia con la nascita di nuove aree protette, per comprendere che per l’intera arcata appenninica serviva una visione d’insieme e un programma a medio-lungo termine sostenuto da strumenti conoscitivi e attuativi e alleanze istituzionali e sociali adeguate.

Nasce così, su intuizione di Legambiente e con il sostegno del Ministero dell’Ambiente, della regione Abruzzo e di Federparchi, una iniziativa progettuale e una strategia politica per promuovere lo sviluppo ecocompatibile e durevole delle zone montane appenniniche in cui cominciava ad espandersi la rete di tutela della natura che affiancava ai vecchi parchi nazionali quelli di nuova generazione a cui si sovrapponeva la rete Natura 2000 di derivazione Europea. Un sistema, anzi una rete fitta di nodi ad alto contenuto di biodiversità, che per svilupparsi aveva bisogno di collaborazione tra le diverse istituzioni (Ministero, Regioni, Comuni…), e il progetto APE è stata l’opportunità per innescare un clima favorevole attorno agli Appennini che, dal Passo di Cadibona in Liguria alle Madonie in Sicilia, vedeva crescere la natura protetta.

Un sistema ricco di biodiversità ma ancora, a quel tempo, poco conosciuto e valorizzato che interessa circa il 30% del totale del territorio nazionale attualmente protetto attraverso i Parchi nazionali (il 16,1%) i Parchi e le Riserve regionali (il 5,6%) e per la restante parte da 993 siti della rete Natura 2000 (ZPS e/o ZSC). Lo spazio Appenninico montano interessa 9 milioni di ettari di territorio (il 31% del territorio nazionale) che si sviluppa tra le dorsali appenniniche, pre-appenninche e le aree assimilate (Cinque Terre, Lepini, Gargano, sub-appennino dauno, etc.…) coinvolge 2.165 comuni e 48 province, e una popolazione residente di oltre 10 milioni di abitanti.

In questi 25 anni le aree protette hanno svolto un ruolo di traino per il progetto APE attraverso il quale sono state realizzate azioni di conservazione della natura fondamentali per la natura del nostro Paese. Dalla tutela del lupo al camoscio appenninico, per passare alla flora e alla tutela delle faggete vetuste, si tratta di esperienze di conservazione rese possibili perché il progetto APE ha individuato uno scenario e un modello di collaborazione a scala vasta. In molti casi, i parchi, sono stati capaci di incidere positivamente anche nell’economia e lo sviluppo locale proprio perché hanno messo a frutto una visione strategica e una adesione ai principi di tutela e valorizzazione insita nella strategia di APE.

Ricordare APE, però, non deve essere solo una rievocazione nostalgica su come eravamo venticinque anni fa, ma deve essere l’occasione per immaginare gli Appennini dei prossimi decenni e utilizzare i successi nella conservazione della natura per vincere le sfide poste dal cambiamento climatico, dallo spopolamento e dalla marginalità economica e sociale in cui si trova ancora la montagna appenninica. Vogliamo declinare gli Appennini nella contemporaneità e “rigenerare” il progetto APE attraverso la lettura critica di questi 25 anni, senza però disperdere le esperienze ed i virtuosismi di una iniziativa ancora attuale benché non applicata fino in fondo, che ha contribuito a far crescere un sistema ambientale ricco di natura e biodiversità e una destinazione turistica oramai conosciuta. Punti di forza, che non avevamo prima, e che possiamo utilizzare oggi per riequilibrare le politiche a favore di un contesto territoriale sempre più fragile anche a causa di un tessuto economico e sociale debolissimo.

Altro punto di forza da utilizzare, emerso anche al tempo del Covid, è la consapevolezza che da soli nessun territorio riesce a cavarsela. Perciò gli Appennini del progetto APE abituati alla collaborazione istituzionale sono pronti a creare nuove alleanze, a partire da un rapporto più solido con le città che sono il riferimento della montagna interna e appenninica. Da Genova a Massa, da Reggio Emilia a L’Aquila, Campobasso e Potenza fino a Reggio Calabria, sono le “città” con cui “riconnettere” i comuni appenninici e superare la loro marginalità, portando a valore il fatto che questi ultimi curano il capitale naturale ed i servizi ecosistemici che le città e le grandi aree urbane consumano.

L’Appennino contemporaneo deve ripartire dalla ricerca di una crescita sostenibile dell’intera arcata, perseguendo gli obiettivi di tutela del capitale naturale e di valorizzazione del suo patrimonio storico e artistico, e puntare decisamente sulla bioeconomia e l’ecoturismo. La sfida della sostenibilità e della rigenerazione degli Appennini oggi si può vincere, anche perché ci viene in aiuto l’Europa con le risorse del Recovery plan e la possibilità di inserire questa strategia nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e accedere ai Fondi di sviluppo e coesione della programmazione comunitaria 2021/2027. Serve però un cambio di passo, lo devono fare le aree protette che sono un nodo fondamentale della strategia di APE, e lo devono fare tutti gli altri soggetti pubblici e privati che assieme devono saper condividere i problemi arcinoti (e aggravati anche dal sisma che ha interessato l’appennino centrale e dal Covid che ha colpito tutti), ma che ancora aspettano una soluzione concreta.

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