L’ambiente fa notizia – La Nuova Ecologia

Dal mensile di dicembre – Nelle redazioni finalmente l’aria è cambiata. Se fino a poco tempo fa le news ambientali per trovare spazio dovevano essere drammatiche e pop, oggi trovano spazio anche le “soluzioni”

di MARCO FRITTELLA

Fino a qui l’informazione ha giocato, almeno in Italia, un ruolo assai residuale nel costruire la consapevolezza dell’urgenza ambientale. Relegate alle pagine interne, sempre a disposizione per lasciare spazio a notizie più “importanti”, fosse anche l’ultima dichiarazione di un “leaderino” di governo sulle schermaglie di potere, le notizie ambientali non hanno mai goduto di grande reputazione nei giornali o nei radio e telegiornali. Rapporti dell’Onu allarmanti o appelli di scienziati di tutto il mondo da noi sono sempre stati considerati nel novero delle notizie opzionali: quelle che si possono pubblicare o non pubblicare a piacere, senza che succeda alcunché. Con una sola eccezione, quella pop: la foto o il video del ghiacciaio che sciogliendosi crolla nel mare Artico con gran fragore e spruzzi d’acqua, dell’orso bianco prigioniero del mare o del cormorano coperto di catrame per l’affondamento di una petroliera. Per il resto silenzio, o quasi.

Ancora oggi, nonostante l’indebolimento dell’industria editoriale e il venir meno della centralità giornalistica, i media avrebbero la forza di imporre un tema nell’agenda pubblica: basta che lo vogliano, che lo ritengano utile ai loro interessi o, auspicabilmente, alla loro funzione. Finora lo hanno fatto poco e svogliatamente. Passi per i “disastri” dell’emergenza climatica, che tutto sommato possono sempre sperare in un titolo “strillato” o in un’immagine suggestiva. Ma quando ci si inoltrava per la strada delle “soluzioni” ai problemi ambientali si era davvero nel buio più assoluto: “questa roba annoia”, è stata la ripetitiva risposta dei capi delle redazioni alle proposte di qualche volenteroso giornalista “ambientalista”, un po’ acchiappafarfalle e fricchettone, uno di quelli che non faranno mai carriera perché troppo impegnati a perder tempo con i pericoli corsi dalla Caretta Caretta o dalla folaga delle paludi. “Annoia”: figuriamoci se possiamo dare un piede di pagina a quel tale che si è inventato come produrre la plastica dagli spinaci invece che con il petrolio. Colore, al massimo.

Così è andata finora: un mare di ignavia e frustrazione. Poi è successo qualcosa. Sarà che l’emergenza è diventata più stringente. Sarà per Greta o per il Papa. Sarà che si sente più caldo a Natale e le trombe d’aria fanno assomigliare Ostia a Miami beach. Ma nelle redazioni l’aria è cambiata.  Magari pesano le malefatte in Amazzonia della criminale politica di Bolsonaro o l’ottuso negazionismo di Donald Trump. sempre pronto ad autorizzare trivellazioni alla faccia di Parigi e di ogni altro accordo internazionale, ancorché flebile. Anche ammettendo un’astuta politica di green washing redazionale, finalmente i giornalisti – anche quelli italiani – hanno capito che l’ambiente è un tema che “tira”. Che insomma il pubblico ci sta, che se pubblichi certe notizie i lettori che ti sono rimasti ti leggono e si incuriosiscono. Meglio ancora se insieme alla cronaca dei disastri fornisci anche notizie su quel che di buono si fa nel mondo per contrastare il cambiamento climatico e la depredazione delle risorse naturali del pianeta.

Il risultato è abbastanza confortante: parole come economia circolare e sostenibilità ora trovano posto nei titoli, non sono più affare solo di quegli strambi che vanno a ripulire le spiagge, i corsi dei fiumi, le aree naturali (anche perché ogni anno sono più numerosi). Insomma, c’è una svolta: l’ambiente fa notizia, e non solo quando c’è un’alluvione, una frana o il distacco di un ghiacciaio grande come Manhattan. C’è più attenzione per il problema ma anche per le soluzioni e si moltiplicano articoli, inserti, “speciali” e dossier. Del resto, l’ambientalismo di suo risponde con una maggiore consapevolezza del fatto che ecologia e sviluppo devono camminare insieme, purché lo sviluppo sia appunto “sostenibile”. Salutiamo tutto questo come un fatto positivo, ancorché tardivo, che aiuta ad attrezzare un’opinione pubblica in grado di influenzare i decisori politici (magari mandando a casa i più dannosi tra loro, con uno fortunatamente abbiamo già cominciato).

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