Formicolio per il cambiamento – La Nuova Ecologia

Dal mensile di novembre – Crisi climatica, disuguaglianze sociali  e ambientali, riconversione dell’economia. Temi, valori e sentimenti per costruire un “futuro più giusto”. Fabrizio Barca e Vittorio Cogliati Dezza a confronto

di SILVIA VACCARO

Le disuguaglianze non sono inevitabili, ma la costruzione di un futuro più giusto dipende da noi. Un dialogo fra Fabrizio Barca, coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità, e Vittorio Cogliati Dezza, membro del coordinamento dello stesso Forum e già presidente di Legambiente, sui temi affrontati dal volume Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale, curato da Fabrizio Barca e Patrizia Luongo e pubblicato da Il Mulino lo scorso giugno.

Come Forum disuguaglianze e diversità sostenete che giustizia sociale e ambientale devono viaggiare insieme. Che significa?

Vittorio Cogliati Dezza

Cogliati. Sia la pandemia che la crisi climatica colpiscono tutti, ma non tutti allo stesso modo. L’Office for national statistics inglese ha rilevato che il tasso di mortalità da Covid-19 è stato di 55,1 su 100mila abitanti nelle fasce popolari contro i 25,3 nelle aree più ricche. Nei territori i problemi sono intrecciati. Se ragioniamo in termini di ricchezza comune ci rendiamo conto che è l’insieme delle mancanze e delle fragilità nel patrimonio ambientale, nei servizi sociali, nei trasporti, nell’abitare, nelle relazioni sociali e di prossimità ad accentuare povertà e disuguaglianze. Ci sono, inoltre, alcune emergenze ambientali che non possono essere risolte se non affrontandole dal punto di vista della giustizia sociale. Come il fenomeno della povertà energetica, aggredibile solo attraverso la riqualificazione degli edifici, in particolare dell’edilizia pubblica.

Fabrizio Barca

Barca. Un altro esempio di contaminazione fra giustizia sociale e ambientale sono le concessioni balneari. Chi propone di rinnovarle indefinitamente sostiene che facendo il contrario si stroncherebbero pezzi di economia locale. Noi diciamo che ad avvantaggiarsene sono spesso rentier, che a fronte di cifre minime pagate a tutti noi sfruttano il lavoro e non curano spiagge e dune. Ci sono anche casi positivi, certo. Proponiamo di mettere a bando queste concessioni con condizionalità sociali e ambientali che premino i migliori. Lo spunto per un altro esempio ci viene dalle proposte presentate da Action Aid su come mitigare l’effetto dei terremoti – in media se ne registra uno grave ogni sette anni in Italia – e riprendersi subito dopo. L’effetto di medio lungo termine è più devastante sulle persone più vulnerabili. Serve al più presto una normativa per la ricostruzione che dia certezze alle persone e una struttura statale permanente. Un altro punto riguarda gli spazi collettivi. Sosteniamo l’idea nata dentro al Forum delle officine municipali per i lavoratori che non rientreranno nei loro uffici e che invece di restare in casa, confondendo tempi di vita e di lavoro, possono trovare in spazi comuni luoghi dignitosi di lavoro e di incontro.

Oggi la Recovery and resilience facility ci pone davanti nuovi scenari. È possibile indicare delle priorità per non rischiare di sprecare un’occasione irripetibile?

Barca. Le abbiamo elencate nel documento che il Forum ha pubblicato a fine luglio. C’è una grande novità nelle parole pronunciate a settembre dalla presidente della Commissione europea. Non solo per la sua enfasi e per il suo entusiasmo nella svolta verde, che non riusciamo a sentire nelle nostre autorità, ma anche per il metodo articolato nelle linee guida di Bruxelles. Non passerà un piano italiano che non enunci missioni strategiche e che non le sappia tradurre in obiettivi misurabili e trasparenti. Ci verrà dato credito non solo in base all’avanzamento finanziario ma anche all’argomentazione documentata di realizzazioni e risultati, ovvero di effetti sulla vita delle persone.

Cogliati. Tre temi. Il primo, l’adattamento al cambiamento climatico: sicurezza idrica e geologica, vivibilità delle periferie urbane, qualità energetica degli edifici. Un unico obiettivo che permette di disegnare una politica industriale per il Paese. Secondo, l’agroecologia: qui l’innovazione può innervare l’intero settore, basti pensare al bisogno di cura delle foreste nelle aree interne o alle possibilità di intrecciare la produzione di cibo con quella di energie pulite. Terzo, la transizione: occorre accompagnare la brown economy per garantire chi è oggi occupato nell’industria del fossile e sostenere l’innovazione nel sistema produttivo e nei consumi, ispirandoci a principi di equità sociale.

Barca. La seconda delle tre indicazioni menzionate da Vittorio trova nella strategia delle aree interne, che coprono il 17% del territorio nazionale, una forte piattaforma istituzionale che sarebbe folle tener fuori dal piano di ripresa e resilienza, perché attraverso di essa si esprimono la partecipazione dei cittadini e i loro saperi.

Quale spazio politico vedete per un progetto di emancipazione sociale e di giustizia ambientale?

Barca. Nel libro Un futuro più giusto abbiamo usato l’espressione “formicolio politico sociale”. È il sentire e il fare di migliaia di esperienze, di giovani e meno giovani, di donne e uomini, nel privato, nel sociale e nel pubblico, che realizzavano già prima della pandemia soluzioni avanzate e che ora ridisegnano piani di vita. Il limite del “formicolio” è che non arriva a intaccare il sistema dei partiti e delle scelte pubbliche. È per questo che come Forum diseguaglianze e diversità abbiamo puntato sulla costruzione di un solido impianto interpretativo e di proposte che gli diano vita operativa. Ma servono anche i sentimenti, i valori forti, la voglia di cambiare il senso comune. Un lavoro che richiede tempo. Ora, dopo la botta di Covid-19, vediamo luce.

Cogliati. Nel 2017, curando per Legambiente un’indagine sulla green society, mi sono imbattuto in una vera e propria effervescenza, con tante iniziative sul territorio che si muovevano al confine fra sociale e ambientale. Dai migranti agli spazi verdi, dalla mobilità alla solidarietà alimentare. Ma era un’effervescenza che non esprimeva una domanda di rappresentanza politica. Oggi il Covid ha accelerato il problema della mancanza di rappresentanza e il processo è in atto. Il libro suggerisce elementi importanti per un progetto di emancipazione sociale e ambientale. Una volta che esiste lo spazio, bisogna che ci siano persone che lo riempiano perché in politica il vuoto non esiste. E se nessuno lo riempie quello spazio si perde.

Barca. Vittorio ci segnala un’urgenza che tutti avvertiamo. Questo stesso nostro dialogo, fra sensibilità e formazioni diverse, è il frutto della trasformazione del “formicolio” in una domanda politica che lui ha ben descritto e che sta dando vita ad alleanze nuove.

Quali sono le battaglie in grado di spingere le persone a mobilitarsi per i cambiamenti di cui parlate? E la politica saprà raccogliere queste istanze?

Cogliati. Io penso che il Covid abbia dilatato le possibilità di conflitto, perché ha aperto nuove contraddizioni, in particolare in campo sociale e nelle disuguaglianze di genere e fra generazioni. Queste tre grandi conflittualità continueranno a essere all’ordine del giorno. Non penso che la politica sia un luogo così separato dalla società. Bobbio sosteneva che la società ha la politica che si merita, cioè la politica siamo noi e la costruiamo agendo, con le alleanze, sviluppando la capacità di muoversi ai confini della propria nicchia, di romperla e di collegarsi agli altri aspetti del sociale per ottenere un cambiamento. E poi abbiamo bisogno di nuove figure, a cui dare spazio e con cui costruire visione e leadership.

Barca. Affinché quel formicolio che esprime domanda politica produca mobilitazione, deve raggiungere quelle parti della società oggi rinunciatarie, che si sono lasciate convincere che il cambiamento non è possibile e che, soffrendo, odiano. Ma non i loro avversari e la causa dei loro problemi: odiano i più poveri, stigmatizzano la povertà. Per questo, insieme all’impianto analitico e alle proposte, abbiamo bisogno di valori indiscutibili per mobilitarci. Quelli che, se messi in discussione, producono il “male”. Il neoliberismo ha il mercato, il cui esito non va messo in discussione, e il merito, reso manifesto dall’accumulazione patrimoniale. L’autoritarismo ha come totem l’omogeneità di razza e cultura. E noi? La combinazione dell’interesse collettivo con la sorellanza e fratellanza, che leggiamo nell’articolo 3 della Costituzione. Soltanto così riusciremo a parlare non solo alla ragione ma anche ai sentimenti.

Cogliati. La politica si costruisce nel cambiamento e se non hai un’idea di cambiamento non puoi neanche creare e riempire spazi politici, poi servono azioni e organizzazione. Le idee per il cambiamento le abbiamo.

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